domenica 22 maggio 2011

MEDIOEVO: accendiamo le luci sui " Secoli Bui" dell'Europa

Marco Meschini Quando il professor Cristoforo Keller, in una tarda serata del 1688, vergò l’ultima pagina del suo lungo lavoro, non sapeva d’aver scritto un’opera storica. O meglio, sapeva d’aver composto una storia - Historia, infatti, l’aveva intitolata - ma non immaginava che il resto del suo titolo sarebbe stato un colpo di genio epocale: Historia Medii Aevi, Storia del Medio Evo. Keller - anzi, Cellarius, perché il latino era ancora la lingua nobile, e si usava latinizzare il proprio nome -, docente di storia ed eloquenza in un’università tedesca, aveva d’un tratto inventato un mondo: fra l’Età Antica e l’Era Moderna - o Recente, come la chiamava lui - fra Roma e i moderni c’era stato un lungo intermezzo, una monolitica Età di passaggio. Era “nato” il Medio Evo. Certo, già Giorgio Vasari, nel 1550, aveva distinto tre epoche per la storia dell’arte; e a ben vedere pure l’umanista Flavio Biondo aveva scritto, intorno al 1450, una storia di quei circa mille anni che Keller avrebbe raggruppato con due parole, presto fuse in un unico vocabolo. Ma fu a partire dall’opera del professor Cellarius che iniziò uno dei più duraturi dibattiti culturali che il mondo occidentale abbia mai conosciuto. Da allora a oggi infatti - e son più di trecento anni - storici e filosofi, politici e preti, lettori e appassionati si son dati battaglia sul senso del Medioevo. Così, in pieno Settecento, Voltaire e i suoi epigoni illuministici hanno scaricato sul Medioevo tutto il marcio che passava nelle loro penne: oscurantismo, irrazionalità, intolleranza. Per far risplendere maggiormente i loro Lumi era necessario far calare il buio sopra il passato prossimo; ed ecco che il Medioevo finiva ripudiato perché troppo segnato dalla fede e dalla Chiesa cattolica, l’«Infame», il nemico che si doveva schiacciare per sempre. Contro questa visione si erse l’Ottocento dei romantici: nel Medioevo non c’era forse stato l’afflato unitario della fede, l’impresa immensa delle crociate? Non era forse nato l’amore cortese, non erano sorte le cattedrali? Medioevo diveniva sinonimo di Cristianità, di unione nel nome d’un ideale superiore. Eppure l’Ottocento era anche il tempo delle nazioni europee in lotta le une contro le altre. Ed ecco quindi i francesi a cercare la propria superiorità nazionale nel millennio medievale: le crociate, in fin dei conti, non le avevano fatte loro? E i tedeschi a trovare ovunque, scorrazzando per i famosi mille anni, segni della loro «germanicità» (protestante), da ripulire dal contatto con la cultura latina (cattolica). E l’Italia non derivava forse dal Medioevo i suoi Comuni, capaci di rovesciare a Legnano la tirannia tedesca del Barbarossa? E non era forse l’Austria di metà XIX secolo l’immagine dell’Impero tedesco medievale? Così bistrattato, il Medioevo finì nei manuali di storia come un lungo elenco di papi e imperatori, re e battaglie, finendo con l’annoiare anche lo studente più diligente. E finì obliato, a parte un manipolo di storici che, da un capo all’altro dell’Europa, andavano chiedendosi: «Ma cos’è davvero il Medioevo?». Iniziò una lunga stagione di studi, svoltasi per oltre metà del XX secolo nel silenzio degli archivi a togliere polvere, riportare alla luce le tracce di un mondo sommerso ma non scomparso del tutto. Poi la ruota della Fortuna fece un altro giro. Qualcuno rivelò Il nome della rosa, e fu un bestseller mondiale: i segreti all’ombra dei chiostri medievali ridivennero all’improvviso alla moda, come non erano più almeno dall’inizio del XIX secolo, da sir Walter Scott con il suo Ivanhoe, pieno di cavalieri splendenti, nobili vergini e luridi templari. Già, i templari e i loro inconfessabili segreti. E i tesori dei catari. E i misteri del Graal. Una caccia senza freni s’è scatenata da allora alla ricerca degli enigmi «medioevali». Ma cos’è dunque questo Medioevo? «Il mondo europeo, in quanto europeo, è una creazione del Medioevo»: queste parole di Marc Bloch, lo storico belga che versò il suo sangue contro il nazismo nel 1944, sono il viatico che vogliamo prendere prima di cominciare il nostro viaggio. Perché la storia d’Europa è nata nel Medioevo, dal crogiolo di popoli che si sono scontrati e incontrati su questa propaggine d’Asia, su questa terra che non è Asia e che anzi è Europa, come capivano bene gli uomini che, nel 732 dopo Cristo, combatterono a Poitiers contro un’incursione musulmana: «Allora gli europenses, gli europei, serrarono gli scudi. E vinsero». I mille anni del Medioevo sono il lungo formarsi della civiltà europea, anche se l’Europa non si è fermata con la fine dell’Età di Mezzo. Il Medioevo non si può liquidare con un’alzata di spalle, come se «mille anni fossero un giorno che passa»: sarebbe la protervia di chi si crede Dio, o almeno un dio, e scorda la storia da cui proviene, il maestoso albero sul quale svettano le nostre conquiste. Sarebbe dimenticare che «siamo come nani sulle spalle di giganti», secondo le parole di Bernardo di Chartres, maestro del XII secolo. Rileggere la storia del Medioevo ci porta lontano da noi, nel senso che ci porta in un tempo che certamente è finito: ed è il bello della scoperta di terre nuove, di imprese spesso dimenticate e invece degne di ricordo. Ma soprattutto la storia medievale ci conduce alla riscoperta di noi stessi, delle nostre radici: di ciò in cui abbiamo sbagliato, certo, ma principalmente di ciò che è nobile e grande. È questa la stella che vogliamo seguire nel nostro viaggio, nella vasta selva del Medioevo.
Marco Meschini
Articolo apparso sul: www.ilgiornale.it

mercoledì 22 settembre 2010

Vaticano, pubblicata la pergamena di Chinon sull'assoluzione ai Templari

Il 'Processus contra Templarios' è la riproduzione fedelissima di quattro pergamene dove sono annotati 38 verbali di interrogatori ai monaci-guerrieri. Mons. Pagano: ''Non ha alcuna volontà celebrativa e tantomeno riabilitativa'' dell’Ordine del Tempio. 


Roma, 25 ott. (Adnkronos/Adnkronos Cultura) – Non si tratta di una scoperta. Così il prefetto dell’Archivio segreto del Vaticano, monsignor Sergio Pagano, ha esordito presentando il volume “Processus contra Templarios”, sgomberando il campo da alcune imprecisioni apparse sulla stampa degli ultimi giorni. ''È il terzo numero di una collana che si chiama ‘Exemplaria Praetiosa’ – ha precisato - inaugurata nel 2000'' e che prosegue oggi con una pubblicazione che non ha ''alcuna volontà celebrativa e tantomeno riabilitativa'' dell’Ordine del Tempio.

È inoltre “del tutto accidentale” il fatto che, proprio quest’anno, ricorra il settimo centenario dall’inizio del processo ai templari. La pubblicazione racchiude al suo interno la riproduzione fedelissima di quattro pergamene, la cui lunghezza complessiva somma 5 metri e mezzo e in cui sono stati annotati 38 verbali di interrogatori.

I primi tre documenti si riferiscono all’inchiesta pontificia sull’Ordine dei templari tenutasi a Poitiers e costituiscono gli esemplari superstiti di un corpus originario di cinque rotoli membranacei. La quarta pergamena rappresenta il documento più importante e intorno al quale si concentra l’interesse degli studiosi e degli appassionati della vicenda. Essa è stata rinventuta solo nel 2001 ed è l’atto originale di assoluzione concessa dai cardinali plenipotenziari del Papa Clemente V al Gran Maestro del Tempio Jacques de Molay e agli alti dignitari templari rinchiusi nel castello di Chinon, da cui prende nome la pergamena.

Il documento in questione, in realtà, era già stato censito nei cataloghi una prima volta nel 1628 e successivamente nel 1912. Tuttavia solo sei anni fa è riapparso fisicamente, grazie alle ricerche di Barbara Frale, officiale dell’Archivio segreto Vaticano. “La grande cosa – ha detto l’archeologo e scrittore Valerio Massimo Manfredi - è la pubblicazione definitiva di questi documentii, sarebbe un film stupendo, ne ho anche parlato con De Laurentis che ha manifestato un interesse di massima. E' un dramma di proporzioni epocali, quasi apocalittiche, con una conclusione di una drammaticità smisurata e un duello all’ultimo colpo e all’ultimo inganno tra un re e un pontefice francesi”.

Il processo ai Templari si svolse infatti per la quasi totalità nel periodo della “cattività avignonese” che vide, dopo gli scontri tra il papato e la monarchia francese, l’arcivescovo di Bordeaux, Bertrand De Got, salire al soglio pontificio con il nome di Clemente V e spostare la sede papale da Roma ad Avignone: era il 1309. Cinque anni dopo, il 18 marzo 1314, “moriva sul rogo Jaques de Molay, l’ultimo Grande Maestro dell’Ordine del Tempio – ha ricordato Barbara Frale - con una condanna per eresia, benché fosse stato precedentemente assolto dall’autorità pontifica. Un cronista dell’epoca riportò la versione secondo la quale prima di morire avrebbe chiamato il re di Francia e il papa Clemente V davanti al tribunale di Dio”.

Proprio da questo episodio sarebbe nata “l‘infinità di leggende” sulla vicenda dei templari, favorite anche dalla “grande perdita di documenti di un processo durato sette anni - ha osservato la Frale - che è stato inoltre un enorme intrigo internazionale in cui si scontrarono l’autorità della Chiesa e quella del sovrano di Francia e di altri sovrani laici desiderosi di smantellare l’Ordine del Tempio, oramai una specie di fossile del tempo delle crociate”. Contrariamente agli scrittori di fantasia “gli storici hanno giocato al ribasso, negando le colpe dei templari”.

La verità, come sempre, sta nel mezzo e proprio l’ammissione delle proprie responsabilità di fronte al papa e il contestuale pentimento degli alti dignitari dell’ordine determinò la loro assoluzione, documentata nella Pergamena di Chinon. “E' questo il contenuto della pergamena ed è veramente sorprendente che sia stata
sempre custodita fin dai tempi di Clemente V nell’archivio pontificio e censita già nel 1628 e più tardi in un dettagliato catalogo del 1912”, pur passando inosservata agli studiosi. Forse essi sono stati “depistati” da una serie di eventi, tra i quali la Frale cita gli autorevoli studi di Scottmuller, “che non riconobbero la reale importanza di quell’inchiesta, scambiandola per un’inchiesta diocesana tra le tante celebrate in Francia”. La Frale invece, è stata insospettita dalla presenza tra i giudici di Berenger Fredol, nipote e braccio destro del papa e “l’uomo più importante del collegio dei Cardinali”.

L’intervento di una tale autorità non poteva essere che giustificato dall’importanza della circostanza, che coinvolgeva i Capi dell'Ordina e sarebbe termionata con la loro assoluzione. Dalla vicenda emerge anche una nuova figura di Clemente V, solitamente visto come il “cappellano di Filippo il Bello”. “L’Ordine del Tempio è un pezzo della Chiesa di Roma. Il papa che non poteva acconsentire che venisse distrutto per sottrargli beni da utilizzatre in una guerra contro un altro sovrano cattolico re di Inghilterra era impossibile. Clemente V ha subito il processo contro l'Ordine dei templari, che che in realtà fu sacrificato per evitare l’apertura di uno scisma che avrebbe portato alla formazione della Chiesa di Francia”.


Le torture dell'Inquisizione

La Santa Madre Chiesa così attenta ai diritti di un singolo spermatozoo, guai a "disperdere il seme" ! , ha mostrato una sensibilità infinitamente inferiore nei confronti di poveri esseri umani la cui unica colpa era magari di aver bestemmiato perchè non avevano nulla da mettere sotto i denti.
L'Inquisizione nacque nel XII secolo come tribunale ecclesiastico adibito ai processi contro catari e valdesi. Con il passare del tempo, il suo compito si specificò sempre di più nel ricercare e giudicare tutti gli eretici. Il criterio con cui si attribuiva a una persona il reato di eresia era alquanto discutibile e molto spesso i capi d'accusa erano del tutto privi di fondamento, tuttavia gli accusati arrivavano ad attribuirsi i più fantasiosi reati pur di porre fine alle atroci torture cui erano sottoposti. L'esecuzione non era possibile senza una confessione, che non poteva certo essere estorta con le buone maniere. Si ricordano 3 Inquisizioni: quella medievale, quella spagnola e quella romana. Sebbene si collochino in luoghi ed epoche differenti, i loro metodi di procedura furono essenzialmente gli stessi. Vennero impiegati antichi sistemi di tortura e ne furono inventati di nuovi, grazie anche al contributo di presunti esperti di stregoneria e demonologia. Essi erano convinti che il diavolo lasciasse un "marchio" sulla pelle del suo servo: segno invisibile, ma che rendeva insensibile la pelle in quel punto. Per questo le carni degli accusati venivano penetrate da lunghi spilloni fino a identificare il punto in cui il "servo di Satana" non provava dolore ovvero non urlava (magari perchè sfinito dalla tortura). Questa era considerata una prova sufficiente. I supplizi più "usuali" furono i seguenti:
ANNODAMENTO: era una tortura specifica per le donne. Si attorcigliavano strettamente i capelli delle streghe a un bastone. Robusti uomini ruotavano l'attrezzo in modo veloce, provocando un enorme dolore e in alcuni casi arrivando a togliere lo scalpo e lasciando il cranio scoperto. Questa tortura fu usata in Germania anche contro gli zingari (1740-1750) e in Russia nel corso della Rivoluzione Bolscevica nel 1917-1918;
CREMAGLIERA: era un modo semplice e popolare per estorcere confessioni. La vittima veniva legata su una tavola, caviglie e polsi. Rulli erano passati sopra la tavola (e in modo preciso sul corpo) fino a slogare tutte le articolazioni;
CULLA DELLA STREGA: questa era una tortura a cui venivano sottoposte solamente le streghe. La strega veniva chiusa in un sacco poi legato a un ramo e veniva fatta continuamente oscillare. Apparentemente non sembra una tortura ma il dondolio causava profondo disorientamento e aiutava a indurre a confessare. Vari soggetti hanno anche sofferto durante questa tortura di profonde allucinazioni;
CULLA DI GIUDA O TRIANGOLO: l'accusato veniva spogliato e issato su un palo alla cui estremità era fissato un grosso oggetto piramidale di ferro. Alla fine alla vittima venivano fissati dei pesi alle mani e ai piedi;
DISSANGUAMENTO: era una credenza comune che il potere di una strega potesse essere annullato dal dissanguamento o dalla purificazione, tramite fuoco, del suo sangue. Le streghe condannate erano "segnate sopra il soffio" (sfregiate sopra il naso e la bocca) e lasciate a dissanguare fino alla morte;
FANCIULLA DI FERRO O VERGINE DI NORIMBERGA: era una specie di contenitore di metallo con sembianze umane (di fanciulla appunto) con porte pieghevoli. Nella parte interna delle porte, erano inserite delle lame metalliche. I prigionieri venivano chiusi dentro in modo che il loro corpo fosse esposto a queste punte in tutta la sua lunghezza, ma senza ledere in modo mortale gli organi vitali. La morte sopraggiungeva lentamente fra atroci dolori;
FORNO: questa barbara sentenza era eseguita in Nord Europa e assomiglia ai forni crematori dei nazisti. La differenza era che nei campi di concentramento le vittime erano uccise prima di essere cremate. Nel XVII secolo più di duemila fra ragazze e donne subirono questa pena nel giro di nove anni. Questo conteggio include anche 2 bambini;
GARROTA: non è altro che un palo con un anello in ferro collegato alla vittima, seduta o in piedi; le veniva fissato e andava stretto poi per mezzo di viti o di una fune. Spesso si rompevano le ossa della colonna vertebrale;
IMMERSIONE DELLO SGABELLO: questa punizione era usata più spesso sulle donne. La vittima veniva legata a un sedile che impediva ogni movimento delle braccia. Questo sedile veniva poi immerso in uno stagno o in un luogo paludoso. Varie donne anziane che subirono questa tortura morirono per lo shock provocato dall'acqua gelida. L'immersione dello sgabello era usata per le streghe in America e in Gran Bretagna nonché come punizione per crimini minori, prostituzione e ai danni dei recidivi;
IMPALAMENTO: è una delle più antiche forme di tortura. Veniva attuata per mezzo di un palo aguzzo inserito nel retto della persona, forzato a passare lungo il corpo per fuoriuscire dalla testa o dalla gola. Il palo era poi invertito e piantato nel terreno, così, queste miserabili vittime, quando non avevano la fortuna di morire subito, soffrivano per alcuni giorni prima di spirare. Tutto ciò veniva fatto ed esposto pubblicamente;
MASTECTOMIA: alcune torture erano elaborate non solo per infliggere dolore fisico, ma anche per sconvolgere la mente delle vittime. La mastectomia era una di queste. La carne delle donne era lacerata per mezzo di tenaglie, a volte arroventate. Uno dei più orribili casi noti in cui fu usata questa tortura era quello di Anna Pappenheimer. Dopo essere già stata torturata con lo "strappado", fu spogliata, i suoi seni furono strappati e, davanti ai suoi occhi, furono spinti a forza nelle bocche dei suoi figli adulti. Questa vergogna era più di una tortura fisica; l'esecuzione faceva una parodia sul ruolo di madre e nutrice della donna, imponendole un'estrema umiliazione;
ORDALIA DELL'ACQUA: in questo tipo d'ordalia, l'acqua simboleggia il diluvio dell'Antico Testamento. Come il diluvio spazzò via i peccati così l'acqua "pulirà" l'anima della persona. Dopo 3 giorni di penitenze, l'accusato doveva immergere le mani in acqua bollente, a volte fino ai polsi, in altri casi fino ai gomiti. Si aspettavano poi 3 giorni per valutare le sue colpe.
Veniva messa in pratica anche un'ordalia dell'acqua fredda. Alla persona imputata venivano legate le mani e i piedi con una fune, in modo tale che la posizione non fosse certo propizia per rimanere a galla dopodiché veniva immersa in acqua: se galleggiava, era sicuramente colpevole, in quanto l'acqua "rifiutava" una creatura demoniaca; se andava a fondo, era innocente, ma difficilmente sarebbe stata salvata in tempo;
ACQUA INGURGITATA: l'accusato, incatenato mani e piedi ad anelli infissi nel muro e posato su un cavalletto, è costretto a ingurgitare più di NOVE litri d'acqua, e ancora altrettanti se il primo tentativo non risulta convincente, per un totale di DICIOTTO litri.
ORDALIA DEL FUOCO: prima di iniziare l'ordalia del fuoco, tutte le persone coinvolte dovevano prendere parte a un rito religioso. Questo rito poteva durare fino a 3 giorni nel corso dei quali gli accusati dovevano partecipare a preghiere, digiuni, sottostare ad esorcismi, ricevere vari tipi di benedizioni e prendere i sacramenti; dopodiché aveva inizio l'ordalia che poteva avvenire in diverso modo. Uno di questi consisteva nel trasportare per una certa distanza un pezzo di ferro incandescente, di peso variabile tra mezzo chilo e un chilo e mezzo.
Un altro tipo di ordalia del fuoco consisteva nel camminare a piedi nudi sopra carboni ardenti, a volte con gli occhi bendati. Dopo la prova, le ferite venivano coperte e, allo scadere di 3 giorni una giuria controllava lo stato delle ustioni. Se le ferite non erano rimarginate l'accusato era colpevole, altrimenti era considerato innocente;
PERA: era un terribile strumento che veniva impiegato il più delle volte per via orale. La pera era usata anche nel retto e nella vagina. Questo strumento era aperto con un giro di vite da un minimo a un massimo dei suoi segmenti. L'interno della cavità ne risultava orrendamente mutilato, spesso mortalmente. I rebbi costruiti alla fine dei segmenti servivano per aumentare il danno fisico. Questa era una pena riservata alle donne accusate di avere avuto rapporti sessuali col Maligno;
PRESSA: anche conosciuta come pena forte et dura, era una sentenza di morte. Adottata come misura giudiziaria durante il XIV secolo, raggiunse il suo apice durante il regno di Enrico IV. In Bretagna venne abolita nel 1772.
PULIZIA DELL'ANIMA: era opinione diffusa in molte zone che l'anima di una strega o di un eretico fosse corrotta, sporca e covo di quanto di contrario ci fosse al mondo. Per pulirla prima del giudizio, qualche volta le vittime erano forzate a ingerire acqua calda, carbone, perfino sapone. La famosa frase "sciacquare la bocca con il sapone", che si usa oggi, risale proprio a questa tortura;
ROGO: una delle forme più antiche di punizione delle streghe era la morte per mezzo di roghi, un destino riservato anche agli eretici. Il rogo spesso era una grande manifestazione pubblica. L'esecuzione avveniva solitamente dopo breve tempo dall'emissione della sentenza. In Scozia, il rogo di una strega era preceduto da giorni di digiuno e di solenni prediche. La strega veniva strangolata, avendo cura di farla rimanere in uno stato di stordimento; il suo corpo, a volte, era immerso in un barile di catrame prima di venire legato a un palo e messo a fuoco. Se poi, per qualche fortuita coincidenza la strega fosse riuscita a liberarsi dal palo e ad uscire dalle fiamme, la gente la rispingeva dentro;
RUOTA: in Francia e in Germania la ruota era popolare come pena capitale. Era simile alla crocifissione. Alle vittime venivano spezzati gli arti e il corpo veniva sistemato tra i raggi della ruota che veniva poi fissata su un palo. L'agonia era lunghissima e poteva anche durare dei giorni;
SEDIAINQUISITORIA: era una sedia provvista di punte e aculei alla quale il condannato era legato mediante strette fasciature. Il fondo poteva essere arroventato per produrre gravi ustioni;
SEGA: terribile metodo di esecuzione applicato, nella maggior parte delle volte, agli omosessuali. Il condannato veniva appeso a testa in giù con le gambe divaricate e con una sega veniva tagliato in 2 verticalmente. Veniva tenuto a testa in giù affinché il dissanguamento fosse più lento e perchè il maggior afflusso di sangue al cervello acuisse la sensibilità al dolore. Pare anche che la vittima restasse cosciente finchè la sega arrivava al cranio;
SQUASSAMENTO: era una forma di tortura usata insieme alla "strappata". L'accusato qui veniva sempre issato sulla carrucola, ma con dei pesi legati al suo corpo che andavano dai 25 ai 250 chili. Le conseguenze erano gravissime;
STIVALETTO SPAGNOLO: le gambe venivano legate insieme in una sorta di stivale di ferro, che il boia stringeva fino allo spappolamento delle ossa;
STRAPPATA: l'accusato veniva legato a una fune e issato su una sorta di carrucola. L'esecutore faceva il resto tirando e lasciando di colpo la corda e slogando, così, le articolazioni;
TORTURA DELL'ACQUA: veniva inflitta frequentemente a personaggi compromettenti, dal momento che i suoi risultati non erano visibili esteriormente. Veniva fatta ingurgitare all'accusato una quantità spropositata d'acqua, finché il suo ventre non raggiungeva dimensioni abnormi, quindi veniva messo a testa in giù perchè la massa d'acqua pesasse sul diaframma e sui polmoni. Oltre al fortissimo dolore, ciò provocava gravi strappi e lesioni agli organi interni;
TORTURA DELL'ANIMALE: un insetto, per lo più un tafano, a volte anche una o più api, veniva messo nell'ombelico dell'imputato, chiuso da un bicchiere di vetro. Alternativamente si poteva inserire la testa del malcapitato in un sacco pieno di bestie inferocite, spesso gatti;
IL TOPO: Tortura applicata a streghe ed eretici. Un topo vivo veniva inserito nella vagina o nell'ano con la testa rivolta verso gli organi interni della vittima e spesso, l'apertura veniva cucita. La bestiola, cercando affannosamente una via d'uscita, graffiava e rodeva le carni e gli organi dei suppliziati. Chissà come i disgraziati riuscissero a sopportare il terrore provocato alla sola vista del topo che da li a poco sarebbe entrato nel suo corpo
TURCAS: questo mezzo era usato per lacerare e strappare le unghie. Nel 1590-1591 John Fian è stato sottoposto a questa e altre torture in Scozia. Dopo che le sue unghie vennero strappate, degli aghi furono inseriti nelle sue estremità;
VEGLIA: consisteva nel privare del sonno gli accusati. Matthew Hopkins la usava in Essex. La vittima, legata, era costretta a immersioni nei fossati anche per tutta la notte per evitare che si addormentasse.

Le Segrete dei Templari

Simboli di Chinon
13 ottobre di sette secoli fa il re di Francia ordinò l´arresto di tutti i monaci-guerrieri del Tempio di Gerusalemme. Processo e condanna furono un´atroce montatura. Nel castello di Chinon ne restano le tracce.
PAOLO RUMIZ



CHINON
è invisibile, sulla collina, la prigione dei cavalieri di Dio. L´ha inghiottita la pioggia, e uno strato di nubi atlantiche che dall´imbrunire ristagna compatto sopra il fiume. Nessuna traccia, a Chinon, della sinistra muraglia dietro la quale sette secoli fa il gran maestro dei Templari Jacques de Molay fu chiuso e torturato, insieme ad altri dignitari, prima di essere messo al rogo. È l´epicentro di una storia terribile, e di una leggenda nera che risveglia ancora furibonde passioni.
Alle nove di sera, sotto il maniero, il silenzio è così totale che par di sentire le pendole nelle case. A quell´ora sulla vecchia Francia scatta il coprifuoco, e a Chinon il tempo si ferma. Palazzi in tufo giallino, vecchi hotel deliziosamente fané, odore di limo fluviale, antichi selciati e una nebbia dove ci si perde come in un bicchiere di Pernod. Per strada, solo un ubriaco, che parla da solo sotto un terrificante monumento a Giovanna d´Arco, in groppa a un cavallo indemoniato che pare trascinarla all´inferno più che al cospetto di Dio.
«Ma lei che ci va a fare a Chinon? Dei Templari non è rimasto niente», mi hanno avvertito a Parigi. A sentire gli studiosi la Francia sembra il posto meno adatto d´Europa a ritrovare i monaci guerrieri. Tutto sembra spazzato via dalla persecuzione, che qui ebbe il suo micidiale epicentro. Ma ci si mise di mezzo anche la Rivoluzione, che fece a pezzi ciò che restava. A partire dal "tempio" di Parigi, trasformato in prigione dall´ancien régime e poi abbattuto come la Bastiglia.
Tutto, nel viaggio, è sembrato depistarmi da questo luogo maledetto. La pioggia, l´inferno delle tangenziali parigine, i saliscendi infiniti della Francia profonda, i boschi labirintici dopo Orléans, oltre la Loira, dove son finito davanti ai cancelli di una centrale nucleare, e poi sulla strada - sbagliata - di Laudun, la città dei "diavoli" e del rogo per stregoneria. In fondo, questo villaggio nella pioggia che pare in capo al mondo.
In posti così addormentati sette secoli non sono niente, e forse tutto cominciò in una notte così, il 13 ottobre 1307, quando gli sgherri del re - sguinzagliati nello stesso momento in tutta la Francia - uscirono per le strade per arrestare migliaia di monaci-guerrieri con l´accusa di eresia, usura, sodomia e altro. «Un crimine orribile, lamentabile, detestabile, esecrabile, inumano e abominevole», così Filippo il Bello nell´apocalittica ordinanza che in gran segreto fece scattare il primo rastrellamento su vasta scala della storia. Li presero tutti, per mettere le mani sul loro tesoro. Li separarono in prigioni diverse, li torturarono col fuoco e li obbligarono a confessare le stesse cose.
Il mattino dopo un rumore di chiavistelli mi strappa alle fantasticherie mentre aspetto nella pioggia, sotto la fortezza. È madame Esnard, la guida, che si scusa per la quantità enorme di lucchetti da aprire. Annuncia che il torrione di Coudray, dove fu incarcerato il gran maestro, è chiuso da mesi - me la sentivo - e per visitarlo ci vuole un permesso da Tours. Spiega che a Chinon trionfa la leggenda di Giovanna d´Arco, che qui fu investita della sua missione dal re di Francia. Per i Templari non viene quasi nessuno.
È strano, racconta, perché ci sono graffiti di prigionieri. Mani, cuori raggianti di luce, scudi e croci, che hanno fatto impazzire cercatori di simboli come Louis Charbonneau e il grande René Guénon. A Chinon, è vero, non è rimasto niente. È il luogo meno templare che ci sia. Ma i muri, quelli sì, parlano eccome, a strapiombo sulla Vienne, sulla collina crivellata di grotte, mascella cariata sopra i vigneti della Turenna.
Entriamo in un labirinto di gallerie, passerelle e ponteggi formicolanti di operai: a Chinon è in corso un restauro, uno dei più grandi d´Europa, un´operazione da quattordici milioni di euro, e la prigione dei Templari è là in mezzo, sigillata da un recinto, dimenticata nella pioggia. Un dentone cilindrico in tufo che affonda nella gengiva della collina per una profondità che pare collegarlo all´altro mondo.
Intanto da Tours arriva il via libera: aprono il torrione solo per noi. Entriamo con torce elettriche, molti dei graffiti possono essere letti solo così. Sotto un soffitto esagonale, formano un puzzle sulle pareti, seguono la sequenza dei pietroni di tufo come le pagine di un libro. I più noti sono all´ingresso sulla sinistra, protetti da una teca di vetro. «Lì dentro», sorride madame Esnard, «una femmina di pipistrello è venuta a ripararsi la scorsa stagione». La torcia illumina gigli, scudi, asce, costellazioni, figure di santi, croci con la base a scalini. Ma appena gli occhi si abituano al buio, ecco apparire ragnatele di iscrizioni meno profonde, addensate nelle tre feritoie aperte sul versante sud del torrione.
Nel contorno di un vascello sta scritto: «commanda eis philipe rege papa clemens quintus diabolis et dragonibus». Che significherebbe: papa Clemente e re di Francia Filippo, siete stati mandati dal diavolo e dal dragone. Filippo è definito "il falsario". Niente di esoterico: è la maledizione di uomini comuni, con le loro rabbie e le loro paure. Finemente incisi, i nomi di possibili progionieri: Jehan Galubia, Geoffroy Verceil, Besançon Philippe, Pierre Safet cuciniere del maestro del Tempio.
«Da qualche parte, in fondo alla feritoia più occidentale», spiega la guida, «c´era la firma di Jacques de Molay, ma ora non si riesce più a leggerla». Racconta che i graffiti sono stati inventariati solo trent´anni fa da un certo Yvon Roy, che li vide quando caddero i primi intonaci. Ma gli storici non si fidano, perché lo scopritore «venne lasciato solo per mesi a lavorare nella torre» e si teme abbia manipolato qualcosa per aggiungere prove in favore dei Templari. Il problema è che nessuno, ancora, ha trovato prove "contro" l´autenticità degli straordinari graffiti di Chinon.
In fondo al finestrone centrale, oltre un tappeto di escrementi di pipistrello: «Nous sommes amenes devant l´inquisiteur de france humbert paris qui tortura les freres», siamo portati davanti all´inquisitore Umberto che ha torturato i fratelli. E ancora, un po´ più in alto, oltre a un ferro di cavallo: «Abbiamo ricevuto colpi di frusta da Robert Fribault che è il boia del re…». E, infine, su una pietra in alto a sinistra della feritoia orientale: «Robert Talmont, precettore di Francia, è morto a Chinon per le torture infertegli». Per leggere, bisogna mettere la torcia lateralmente, per esaltare l´ombra nelle fessure. Ma tutto è fantasticamente chiaro, ed è forse per questo che gli storici non si fidano ancora e la Soprintendenza ha preferito lasciare i graffiti nell´ombra.
Fuori piove ancora, dall´alto della muraglia le isolette della Vienne sembrano risalire la pigra corrente come chiatte oceaniche. I muri parlano? «La realtà è che, dopo tutto il polverone sui Templari, c´è ancora tanto da sapere e tanti documenti da setacciare», brontola Alain Demurger, maxi-esperto francese sul tema, prima di consigliarmi una buona cantina da vino. È scettico sui graffiti di Chinon; preferisce lavorare sugli atti del processo, una documentazione più che sufficiente. Ma la conclusione non cambia: i cavalieri di Dio erano «gente comune», non «extraterrestri». Militari e monaci, reclute e novizi insieme, avevano il loro inevitabile "nonnismo", ed è a quei vizi che s´è aggrappato il re per le sue accuse. Colpevoli o innocenti? La Francia - giurano qui - è ancora spaccata in due.



Fonte – La Repubblica, 07 ottobre 2007, pagina 32 sezione: CULTURA, articolo di Paolo Rumiz


Torre
Simboli di Chinon

sabato 12 dicembre 2009

Un pensiero per Giorgio Ruberto



Quello che sto scrivendo qui, da Bologna, è scaturito da un insieme di emozioni che stanno attraversando la mia emotività. Ho da poco saputo dell’improvvisa scomparsa del mio carissimo compaesano Giorgio Ruberto, stroncato da un maledettissimo incidente stradale. Mi sento pertanto in dovere di dedicare due righe, nonché non poche lacrime, per questa meravigliosa persona prendendomi l’onere di rappresentare quanti l’hanno conosciuto e apprezzato. Non è il suo “già sindaco di Chieuti” a fargli onore, ma il percorso di vita di un uomo troppo onesto per questa vita. Giorgio, voglio osar dire, non faceva parte di questa infame ed egoista società; i valori ai quali si ispirava erano valori molto più nobili di quelli che spesso siamo capaci di pensare. Un uomo di altri tempi, questo sarebbe l’appellativo adatto per una persona così nobile che non mancava di recare del “Lei” a chiunque e che anche nei momenti di rabbia non osava sbilanciarsi in maniera scurrile o sconsiderata. Il Sig.Ruberto Giorgio era un uomo di classe e con classe deve essere ricordato:

“Eri tra i pochi a cui stava davvero a cuore il nostro paese ormai  abbandonato alla decadenza. Amavi la Politica, la Storia, l’Archeologia, la Letteratura, la cultura Arbereshe… amavi la cultura, amavi i grandi ideali che purtroppo non appartengono più a questa seconda metà del secolo, dominata da indegni interessi e da finte e impellenti esigenze. Il tuo amore per queste discipline non era solo empirico ma misto a un’educazione superiore che pochi comprendono e comprenderanno. La tua superiore educazione trovava il suo habitat naturale in sentimenti quali: eguaglianza, pietà e solidarietà. Se davvero esiste questo tanto celebrato Dio, spero che per te riservi un posto migliore che altri non meriterebbero. Forse un giorno mangeremo ancora la tua favolosa pizza con le cipolle che amavi tanto.

"La vita è come una commedia: non importa quanto è lunga, ma come è recitata." Seneca

 Addio Giorgio.”

Vorrei volgere il cordoglio alla rispettabilissima moglie Eleonora e figli per la scomparsa di un grande uomo, marito, studioso e amico da parte mia e della mia famiglia: Rosati Anna, Pasquale Barile e il suo grande amico Antonio Barile.

Amici per sempre nella vita e nella morte.
                                                                                                                                         Giuseppe Barile


mercoledì 18 novembre 2009

L’importanza del pensiero greco nella Teologia altomedievale


Prima di parlare di Cristianesimo dobbiamo fermarci e fare alcune considerazioni. Il Cristianesimo della prima età dell'alto medioevo era un insieme di nozioni, credenze e culti da identificare ancora in una dimensione più strettamente “cristiana”. Motivo per il quale la chiesa si preoccupava di formulare una dottrina da impartire ai sempre più fedeli che si avvicinarono a questa nuova religione. Da questo momento l'elemento ellenistico delle popolazioni d’Oriente ebbe tantissimo valore nelle dispute teologiche altomedievali.
Il tema della morte e della resurrezione di un dio, mito anche delle religioni orientali, in Occidente aveva smesso di essere simbolo per divenire realtà. Dio non era più al di fuori della storia ma addirittura l'aveva trasfigurata con la sua venuta e la sua morte sulla croce salvando l'intera umanità; il Dio cristiano era nato da una madre di carne e aveva sofferto la propria carne. Da queste considerazioni che creavano uno “scandalo religioso” si partì per formulare una base teologica ben precisa che ammetteva l'esistenza di un unico Dio ab eterno il cui primato e unicità non ammettevano rivali. Questo dal punto di vista politico fu anche un tentativo di unificazione di tutti i fedeli sotto un unico organismo, quello religioso, che a volte sopperiva alle mancanze imperiali. Il pensiero greco influì significativamente nella formulazione di una nuova teologia che vedeva al centro dei propri dibattiti dottrinali la questione mariana , con i discorsi sulla liceità di utilizzo del termine “Theotòkos” come appellativo di Maria, ma soprattutto quella cristologica, che aveva come tema la doppia natura di Gesù Cristo. Infatti l'educazione filosofica metafisica sull' “essere non può non essere” riferita alla trinità e al rapporto tra Padre e Figlio, ebbe grande rilevanza delle grandi dispute conciliari (si ricordi la disputa tra Cirillo, monofisista, e Nestorio). Il problema era definire la natura di Cristo cercando di tenere presente il fatto che se da un lato era Dio, dall'altro si era fatto uomo, aveva sofferto ed era morto sulla croce. In un periodo dove l'entusiasmo religioso era molto forte questo tipo di discussioni favorì un’accentuata e pericolosa intolleranza che sfociò in una serratissima lotta tra monofisisti e nestoriani.

Tutto questo in un clima , quello altomedievale, di angoscia e di “ pessimismo salvifico” scaturito, biblicamente, dalla grande profanazione di Adamo, e storicamente, dal disgregarsi della classica visione del mondo romano-ellenistico. L'angoscia esistenziale era percepita con un intensità fino ad allora sconosciuta e affinchè l'espiazione rigeneratrice avesse efficacia occorreva che l'azione riparatrice fosse al pari del peccato da annullare. Occorreva quindi che Dio stesso, incarnandosi, spargesse il sangue di suo figlio Gesù Cristo per rendere la redenzione universale e degna dell'offesa recata. L'uomo da solo non avrebbe in nessun caso potuto ovviare e riparare all'operato indegno di Adamo.

venerdì 9 ottobre 2009

Le "Streghe di Nogareto" - Verbale inquisitorio

Di seguito trovate narrato il processo alle streghe di Nogaredo (a ca. 23 km da Trento e 75 da Verona).
Tutto ebbe inizio nell'anno 1646 nella piazza di Nogaredo. Mercuria accusò Domenica Chemelli di furto e stregoneria: a seguito di tale accusa, le due donne furono rinchiuse nelle carceri di Castel Noarna.
Mercuria fu accusata a sua volta di stregoneria e, in interrogatorio, affermò che erano state Domenica e la figlia Lucia a insegnarle come diventare una strega...


27 novembre 1646
Oggi ha avuto inizio il primo processo di stregoneria, al quale io partecipo come cancelliere. E’ ancora vivo il dolore per la morte di mia moglie e di Lisabetta, ma farò del mio meglio per essere preciso e zelante.
Davanti al signor giudice delegato Paride Madernino della giurisdizione di Castellano, nel pretorio di Nogaredo, si è presentata nelle ore tarde del pomeriggio Domenica vedova Camelli, detta Menegota. Interrogata che rapporti avesse con Maria Salvatori, detta la Mercuria, raccontò di una disputa ch’ebbe con lei per un po’ di canape, che essa, secondo l’accusa della Mescuria, le avrebbe rubato.
Le fu chiesto se frequentava il palazzo dei conti di Lordon; rispose che c’era stata qualche volta per portarvi dei gamberi, ma che ci andava più spesso più spesso per chiedere l’elemosina. Disse che ci andava spesso anche la figlia Lucia.
“Avete qualche segno sul corpo?”, le chiese allora il giudice.
“No”, rispose, “se ce ne sarà bisogno, mi spoglierò alla vostra presenza. Ma non fatemi di queste domande, perché io non sono la Morandina.”
“Perché parlate cosi?”
“perché tutti dicono che la Morandina è una malvagia; ma io non la conosco.”


29 novembre 1646

Interrogatorio di Lucia, figlia della Menegota e moglie di Antonio Caveden. Ha dichiarato di essere lavoratrice nei campi e di fare lino in casa.
“Dove eravate quando vennero per arrestarvi?”
“Andavo a chiamare mio marito. Gli sbirri mi legarono il braccio destro con una corda e mi tagliarono le trecce. Io dissi allora: ‘Io non sono una strega, per grazia di Dio.’”
“Perché avete detto questo?”
“Perché ho saputo che quando la Mercuria fu arrestata, le furono tagliate le trecce.”
“Conoscete la Mercuria?”
“La conosco benissimo. E’ mia nemica.”
“Le avete mai dato un pomo?”
“No, mai.”


Lucia raccontò poi la storia del canape:
“Quando tornai a casa, mio marito mi rimproverò di aver litigato in pubblico e mi diede un sacco di bastonate. E tutto per colpa sua.”


30 novembre 1646
Giornata piena di emozioni. Ne sono ancora tutto sconvolto.
Lucia è stata interrogata la seconda volta: ha negato ostinatamente di aver dato alla Mercuria quel tal pomo, destinato a far abortire la marchesina Bevilacqua. Ha negato anche di aver aiutato la Mercuria a stregare Cristoforo Sparamani. Ma sono bastati alcuni tratti di corda per farla confessare. Ciò che ha narrato mi riempie di orrore. Lucia ha confessato che, un anno e mezzo fa, fu invitata a casa di Domenica vedova di Valentino Gratiadei, dove vi trovò la Mercuria, intenta a preparare un vasetto d’unguento.
“Che cosa ne volete fare?” chiese Lucia. “Vogliamo conciar per le feste il signor Cristoforo”, rispose ridendo. “E poiché io non volevo andar con loro”, continuò, “mi toccarono sul naso, e io fui costretta a spogliarmi. Mi accorsi allora che diventavo sempre più piccola e che mi trasformavo in gatto. Tutte sotto forma di gatto, ce ne andammo a casa di Cristoforo, che dormiva solo sul suo letto. Domenica e la Mercuria lo unsero per bene dalla testa ai piedi, ma io non volli aiutarle. Dopo una mezz’ora ritornammo a casa di Domenica, che mise sulla tavola pane, formaggio e un boccale di vino. Ci mettemmo a mangiare e a bere. Esse ridevano soddisfatte.”



Il racconto di Lucia ha sconcertato anche il giudice, che sembrava non riuscisse a capire certe cose.
“In casa di Domenica c’era anche un uomo, e a me pareva che fosse Antonio Gratiadei; ma la Mercuria mi disse che era il diavolo. A un certo punto, costui abbracciò la Mercuria e Domenica, ma me no.”
“E’ proprio vero che il diavolo non vi ha mai abbracciata?”
“Può essere che l’abbia fatto sotto la forma di mio marito.”
“Siete mai stata al congresso delle streghe?”
“Ci sono andata più volte insieme alla Mercuria, con Domenica, con Morandina di Maran, e qualche volta anche con mia madre. Il diavolo in forma d’uomo c’era sempre: si conduceva dietro alcuni suonatori e persino un cantante. Noi ballavamo e facevamo baldoria.”



A questo punto Lucia ha fatto quella tremenda rivelazione, che mi ha atterrito. Ha raccontato che Domenica, un giorno ch’io ero assente da casa, era entrata in cucina e aveva messo sotto il naso di mia moglie una certa cosa. Mia moglie è morta per opera di quella strega! Ma sarà mai fatta giustizia di tutte queste malfattrici e il mio sdegno sarà placato.
In tanto dolore, ho la soddisfazione di avere dalla mia parte il favore del signor giudice, il quale, all’udire quell’orribile notizia, ha comandato che Lucia fosse sottoposta a più severa tortura. Lucia ha urlato come una bestia. Ma che cosa non meritano queste maledette! Anche sua madre è una strega: l’ha accusata lei stessa.


2 dicembre 1646
Oggi il bargello Giuseppe Goriziano ha finalmente arrestato Domenica Gratiadei, l’assassina di mia moglie.
Lucia è stata interrogata di nuovo: ha confermato le sue deposizioni precedenti e ha supplicato di non essere torturata. Da lei ho conosciuto gli ingredienti che sono serviti a manipolare l’unguento con cui mia moglie fu uccisa: olio comune, finocchio pesto, ravano, aglio, polvere di ossi di morti; a tutto ciò il diavolo ha mescolato una certa polvere. Evidentemente, deve essere stata questa l’ingrediente micidiale.

3 dicembre 1646
Interrogatorio della Menegota, madre di Lucia. E’ parsa pallida e debole. Le furono comunicate le deposizioni, fatte contro di lei dalla figlia Lucia e dalla Mercuria. Sembrò sorpresa e negò con insistenza.
Il giudice l’ha messa a confronto con la figlia, che l’ha accusata di aver preso parte allo stregamento di Cristoforo. La vecchia, dopo aver molto riflettuto, confermò le dichiarazioni di Lucia; ma aggiunse altre nortizie, che il giudice non aveva sollecitato.

“Sono stata più volte al congresso delle streghe. Mi specialmente uno, cui partecipai dodici anni fa, in casa di Francesco Delaiti; c’era anche un uomo vestito da prete, che assomigliava tutto a don Rinaldo; ma era il diavolo.”
E’ possibile che il demonio rappresenti nel Sabba la figura di un prete innocente? E se quello era davvero don Renaldo, può Dio permettere che il suo gregge sia contaminato a tal punto?

4 dicembre 1646
Finalmente ho visto in faccia Domenica Gratiadei, l’assassina di mia moglie. E’ una donna dall’espressione dura e cattiva. Ha negato di aver partecipato allo stregamento di Cristoforo. Messa a confronto con Lucia, è impallidita. Il giudice ha posto sul tavolo i vasetti e le boccette trovate a casa sua.

“Ecco”, ha sostenuto Lucia, “qui dentro avete preparato l’unguento per stregare Cristoforo.”
Domenica rispose: “Sono incolpata a torto; fate quel che volete; se mi fate morire, sarò condannata ingiustamente.”
Le furono lette le deposizioni della Mercuria.
“Rispondete, dunque; dite che sono vere.”
“Vossignoria”, rispose Domenica con un tono di falsità che non poteva non essere palese a tutti, “scriva che l’ho fatto; non so però d’averlo fatto.”


Qui la tortura era indispensabile per strapparle da bocca la verità. Il giudice fece il suo dovere, e gliene sarò sempre riconoscente.

5 dicembre 1646
Oggi l’ipocrisia e la perfidia di Domenica so sono rivelate appieno. Quando il giudice le chiese di confermare quanto aveva dichiarato ieri, ebbe il coraggio di sconfessare, affermando che i vasetti trovati a casa sua le servivano per usi comuni. Lucia le rinfacciò che mentiva e, mostrandole certa farina, disse:

“Questa è la polvere che hai adoperato per stregare la moglie di signor cancelliere.”
“Questa è farina”, ribatté l’altra, “e non è vero ch’io abbia rovinato la moglie del signor cancelliere; né mai sono stata nella sua cucina.”

Lucia ripeté che quelli erano ingredienti per malefizii. Domenica, spudoratamente, sostenne che erano grani di frumento, destinati parte per il suo vitto, parte per le galline.
Scoppiò allora un violento diverbio fra le due donne, che il giudice saggiamente stroncò sottoponendo ancora una volta l’assassina di mia moglie ad alcuni tratti di corda.
Domenica si decise di confessare tutto e dichiarò cose terribili e denunciò altre persone. Perciò il bargello ha ordinato di comparire davanti al giudice per deporre sotto giuramento alle seguenti persone: Cecilia Sparamani e Maria sua figlia, Santo Peterlino e suo figlio Gratiadei, fabbri; Donato Beltrami, servo degli Sparamani; Giovanni Battista dei Maistri e la moglie Caterina.


6 dicembre 1646
Stamani Cecilia Sparamani ha dichiarato che il figlio Cristoforo va soggetto a periodici attacchi di epilessia e che non sono valse le cure dei medici a guarirlo. Consigliata da molto religiosi, nonché dal cappellano del paese, che lo ritenevano fatturato, aveva deciso di mandarlo al Santo di Padova; ma, essendo le strade impraticabili per il cattivo tempo, l’aveva condotto a Brondolo, dove il vescovo aveva fatto gli scongiuri.

“Ora si trova a Trento”, concluse, “dove il padre Macario gli ha dato alcuni suoi bollettini contro le fatture.”
“Sospettate di qualcuno?”
“No, non sospetto di nessuno.”
Si è presentato anche Giovan Antonio Ferrari, detto Scarambea, e ha fatto le seguenti dichiarazioni:
“Qualche anno fa fui morsicato da una vacca e da una vitella in maniera piuttosto grave. Ma non ho mai avuto sospetti di nessuno.”
“Nemmeno di Lucia Caveden?”
“Veramente di lei non so cosa pensare. Mia moglie l’altro giorno m’ha raccontato che Lucia venne una volta a casa mia a pregarla ch’io volessi tenere un suo bambino a battesimo; se l’avessi fatto, assicurò, non mi sarebbe più morto bestiame.”

7 dicembre 1646
Deposizione di Gratiadei Peterlino, giglio di Santo, intorno allo stregamento di Cristoforo.

“Hai mai visto gatte per la casa?” gli chiese il giudice.
“Più di una volta”, ha risposto. “E benché io mi provasse a cacciarle, non ci sono mai riuscito. Esse ritornavano sempre e facevano urli e versacci.”

Anche Domenica Gratiadei ha subito oggi il suo terzo interrogatorio. Dichiarò di non sapere in nessun modo come sia stato stregato Cristoforo, ma confessò finalmente di aver dato alla Mercuria il pomo che avrebbe dovuto far abortire la marchesina Bevilacqua.

13 dicembre 1646
Lucia ha fatto questa deposizione:

“Domenica mi ha confidato che il diavolo le aveva dato un anello in segno di patto e me l’ha mostrato; ci sono incise sopra alcune lettere. Ma ne aveva anche un altro senza pietra, e con quello ha bollato me, qui sulla spalla.”

Le furono mostrati due anelli che furono trovati in casa di Domenica. Lucia dichiarò che erano quelli. Richiesta dello stregamento dei buoi dello Scarambea, disse ch’era operato ungendo le greppie; e ce ne descrisse il modo.

17 dicembre 1646
Stamane Lucia ha fatto altre orribili deposizioni. Domenica è l’assassina anche di Lisabetta. Con l’aiuto di sua figlia Benvenuta, una ragazza di diciassette anni, la vecchia ha preparato un’insalata malefica, che ha causato la morte della mia figliola. Domenica ha confermato tutto: di aver consacrato al diavolo Benvenuta, di averla indotta a rinunciare al battesimo e agli altri sacramenti, di aver preparato l’insalata malefica. E quando il giudice le ha chiesto il modo con cui aveva imbastito quella fattura, si è indugiata a lungo e con massima indifferenza a descriverci quella pietanza infame, come se ci avesse descritto il piatto più prelibato.

18 dicembre 1646
Lucia è stata interrogata di nuovo. Il giudice dubitava della sua sincerità, poiché gli sembrava che le accuse da lei prodigate con tanta sfacciataggine fossero accuse il frutto di malanimo e di astio personale. Essa ha giurato sui Vangeli di aver detto tutta la verità e ha sostenuto che l’avrebbe riconfermata anche nei tormenti. E cosi ha rinnovato le sue accuse contro Benvenuta, contro Isabella Brentegana e la figlia Polonia, contro Santo Peterlino, contro Delaito Cavaleri: tutta gente dedita alla stregoneria, che più d’una volta ha partecipato al Sabba, che è stata presente alla manipolazione degli unguenti malefici, che s’è trasformata in forma bestiali. Riconfermò quanto aveva già deposto sulle Ostie ricevute dalla Mercuria, ma, presa forse da uno scrupolo, precisò che l’anello con le lettre incise, di cui aveva parlato il 13 del mese, non era stato consegnato dal diavolo a Domenica, ma alla suocera di lei, ch’era anch’essa una strega.
Il giudice irritato dalle sua contraddizioni l’ha fatta torturare. La tortura è durata circa dieci minuti fra urli e gemiti; durante i tormenti ammise di non aver mai avuto Ostie consacrate dalla Mercuria e di non sapere se Santo Peterlino avesse rinunciato al battesimo. La tortura di Domenica è durata di più, forse mezz’ora. Non ho mai udito dele grida cosi bestiali, ma non mi sono commosso. La vecchia ha ammesso finalmente di aver preparato l’insalata per la mia Lisabetta.

20 dicembre 1646
Benvenuta Gratiadei interrogata la prima volta. Mi è sembrata sincera.

“Che opinione hai di tua madre?” le ha chiesto.
“L’ho sempre ritenuta onesta.”
Il giudice le lesse le denunce di Lucia.
“Mi sembra di non aver mai fatto quelle cose. Sono stata si, più di una volta, in compagnia di ragazze e abbiamo riso e ballato, ma non ho idea di aver fatto altro. Qualche volta veniva anche un giovane, che io non conoscevo, e ballava con me.”
Il giudice, minacciandola, le raccomandò di dire la verità su quel giovane.
“Mia madre mi disse che quello era il diavolo e che non dovevo aver paura di lui. Un giorno egli mi applicò sulla spalla un suo ferro infuocato e mia madre vi pose sopra un suo anello. Un’altra volta mi diede del denaro, che io consegnai a mia madre. Ma sono passati alcuni anni da allora e io me ne ricordo appena. Mi sembra un sogno.”
“ E’ vero che hai portato l’insalata a Lisabetta?”
“ Si, per ordine di mia madre. Lucia mi veniva dietro per vedere se Lisabetta l’avrebbe mangiata. C’erano anche la Mercuria e la Menegota. Quando videro che la mangiava, tutte si misero a ridere gridando: ‘L’ha mangiata! l’ha mangiata!’”
“Hai qualche segno diabolico?”
“Si, qui sulla spalla sinistra.”

Sono stati chiamati i medici Betta e Bosini, che riscontrarono effettivamente il segno: era una macchiolina della grandezza di una lenticchia.   23 dicembre 1646 Benvenuta ha dichiarato che allo stregamento dei buoi dello Scarambea hanno contribuito Zinevra vedova di Valentino Chemol e Caterina Baroni detta Fitola.



24 dicembre 1646
Lucia ha denunciato come complice Maddalena Andrei, detta la Filosofa, e ha confermato che Santo Peterlino non è soltanto uno stregone, ma capo degli stregoni, e che per questa ragione è chiamato il caporale.
Per fortuna, il Peterlino è già arrestato! Il cerchio dei malfattori si allarga sempre di più.



Natale 1646
Il Natale dovrebbe essere una gioia per tutti. Ma io sono solo, privato degli affetti familiari dalla perfidia di quattro donne maledette. Tutto qui dentro mi pare stregato: il pane che mangio, il letto su cui dormo i miei sonni inquieti…
Continua..